Sarà fin troppo semplice, ma nel momento in cui ci ritroviamo ad interrogarci sulla Sinodalità, penso potremmo trovare le prime risposte proprio nel termine SINODO. Non credo infatti che questa parola rappresenti solo un’etichetta, la vedo piuttosto come una prima indicazione di un sentiero.
Avviamoci dunque su questo sentiero, e permettetemi di immaginarlo come sentiero di montagna.
Quando si parte per una camminata in montagna si condivide sicuramente la META, e quale può esser la meta della Chiesa, sposa di Cristo, se non l’incontro con Dio? Questa dunque la bussola del nostro cammino, la domanda da porci per fare il punto sulla nostra situazione. Siamo sicuri di averla ben presente questa meta durante il cammino? È lei che indirizza ogni nostro passo? Lungo il sentiero potranno esserci pause e digressioni, ma saranno positive solo nella misura in cui ci consentiranno di riprendere a camminare in quella direzione e con più energia.
Concorderete, poi, che nel preparare una camminata c’è sempre chi, più o meno esplicitamente, si assume l’onere di fare da GUIDA. Spesso è il più esperto che studia il percorso, lo sceglie in funzione delle energie e della preparazione dei partecipanti, consiglia gli altri e si offre come riferimento: come non riconoscere nei sacerdoti e nel vescovo questo ruolo? Fatemi usare il termine Presbitero, che meglio sottolinea il ruolo di chi ha maggior esperienza. La tradizione ecclesiale ci presenta il sacerdote come “alter Christus” o come “ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo capo e pastore”; chiediamoci se noi riconosciamo veramente ai nostri presbiteri questo ruolo (e se i presbiteri stessi lo accettino quotidianamente).
Soprattutto quando il percorso diventa più impegnativo (e gli anni che viviamo non sono certo semplici) a questo “capo cordata” viene affidata la sicurezza spirituale dei singoli e del gruppo. Ritengo dunque fondamentale il compito del “padre spirituale”, figura che abbiamo un po’ perso rispetto alle generazioni precedenti; una guida nel combattimento spirituale dal quale nessuno è esentato (di qui anche l’importanza di tutto quanto noi laici, diaconi o no, possiamo fare per liberare i sacerdoti dai mille impegni quotidiani per permettergli di dedicarsi alla loro missione).
Proprio come in montagna sarà il più forte che darà il passo, esortando gli altri e rallentando per aspettare i più deboli. Che bello pensare al Sacramento della Riconciliazione come il momento in cui il Presbitero ci raccoglie da una caduta, cura le ferite e ci incoraggia a riprendere il cammino, indicandocene la via! E quanto bisogno abbiamo di trovare modi di avvicinare questo Sacramento alla comprensione e fruibilità di tutti, tramite incontri dedicati, penitenziali o altro.
La spiritualità del Presbitero, per quanto essenziale, si coniugherà poi con la sua socialità. È solo il Presbitero “amico di famiglia”, facilmente accessibile, che potrà avvicinare tutti proponendo a ciascuno di dare il proprio contributo di partecipazione e che potrà conoscere il passo che la sua Comunità è in grado di tenere.
Già ma come è composta questa comunità che costituisce la Chiesa in cammino.
Mi ha stupito che nell’Assemblea Sinodale del 27 marzo non si sia parlato degli ordini religiosi. Vogliamo veramente rinunciare al prezioso contributo delle sorelle e dei fratelli religiosi? Se Catechismo significa “istruzione orale”, in un mondo in cui la contro-catechesi è incessante ed inevitabile, vogliamo rinunciare alla voce di chi ha dedicato la sua vita al rapporto con Dio?
Dovremmo favorire maggiormente momenti di condivisione tra laici e religiosi. Sono certo che una maggiore conoscenza dei bisogni degli uni e degli altri consentirebbe la risoluzione di molti problemi sia sul piano temporale che su quello spirituale.
Il riavvicinamento di laici e religiosi, inoltre, avrebbe indubbie ricadute vocazionali: ne lamentiamo spesso la crisi, ma alimentiamo una società che finge di poter vivere senza religione e nasconde o ignora gli ordini religiosi.
Poi ci siamo noi sposati: che ruolo ha il sacramento del matrimonio in un cammino sinodale? Se il presbiterato ha il ruolo di guida, ritengo che il matrimonio sia il vero collante della comunità, la corda che unisce gli escursionisti. Eppure questo ruolo non viene sufficientemente riconosciuto (perché ad esempio non ricordare gli sposi esplicitamente nella stessa preghiera eucaristica?) e tantomeno viene preteso. Dico preteso. Del resto pretendiamo tanto dai nostri presbiteri ma lasciamo che gli sposi interpretino il loro Sacramento con una assoluta …fantasia.
Molto potremmo dire del Matrimonio visto come sacramento di serie B e bistrattato nelle nostre comunità: a volte mi chiedo se accetteremmo ordinazioni religiose celebrate con una “leggerezza” e con poco rigore come facciamo per certi matrimoni. Ma basti qui riflettere se dedichiamo abbastanza attenzione al “Mistero Grande” che Paolo indica agli Efesini e che dagli sposati riporta l’attenzione al Cristo e alla Chiesa tutta: giovani, anziani, single, vedovi, malati…..una grande Comunità che si sostiene a vicenda, unita dalla fatica di raggiungere la stessa meta.
L’aspetto comunitario è dunque essenziale. In molti movimenti ecclesiali possiamo vedere come il cammino dei singoli viene facilitato in un ambiente in cui ci si aiuta a vicenda, con la conoscenza reciproca che genera preghiera e carità vicendevole. Anche qui però una qualche attenzione va fatta, perché si possono creare perimetri che, nel proteggere chi è dentro, di fatto creano esclusione verso chi è fuori.
E questa comunità nasce dall’eucarestia! Temo che questo a volte ci sfugga, soprattutto quando le attività di un gruppo divengono frenetiche e la partecipazione alla Messa diviene una delle attività da smarcare, più che un momento di convergenza, una comune pausa di ristorazione. Siamo così fortunati da vivere in un posto in cui non è necessario percorrere molti chilometri per partecipare ad una celebrazione eucaristica; ma forse proprio questa accessibilità non ci aiuta a ricordarne l’importanza fino a rendere spesso le celebrazioni impersonali e convenzionali.
Ma non descriveremmo affatto la Chiesa in cammino se omettessimo un Compagno fondamentale del gruppo. Ce lo ricorda il Deuteronomio: “Il Signore cammina egli stesso davanti a te”.
E con questo Compagno di viaggio dobbiamo confidarci, parlare e aprirci come si fa con gli amici soprattutto nella fatica. Il che mi porta a sottolineare l’esigenza della preghiera e come questa non possa essere lasciata all’iniziativa personale e a poche celebrazioni comunitarie.
Se, come ha detto Papa Francesco, la preghiera “è la più grande forza della Chiesa, che non dobbiamo mai lasciare”, abbiamo bisogno (forse più di quanto pensiamo) di curare meglio la sua comprensione e favorirne la pratica.
Esistono certo delle importanti iniziative, sono sicuro però che potremo fare di più per renderle fruibili a più persone. Momenti di adorazione eucaristica o gruppi di preghiera in parrocchia o nelle famiglie non saranno mai abbastanza; e temo siamo ancora lontani dall’imparare a trasformare in preghiera il lavoro professionale e l’adempimento dei doveri ordinari del cristiano come indicatoci da San Josemaria Escriva.
Potremmo favorire l’ascolto di questo Compagno promuovendo momenti di “lectio divina” o comunque di studio della Parola, che però non si limitino ad essere appannaggio di una fortunata élite di fedeli; ma sappiano raggiungere molti.
Mi rendo conto che non sia facile, ma salendo in questo sentiero di montagna potremmo scoprire che i momenti in cui avanziamo effettivamente verso la Meta sono solo quelli che dedichiamo alla preghiera; sia essa orazione, contemplazione o quotidianità santificata.
Del resto potrebbe mai essere credibile una comunità cristiana che dimentichi di avere presente al suo interno l’Emmanuele? E cosa facciamo come chiesa per sperimentare questa presenza, testimoniarcela a vicenda e riportarci ad essa nelle varie esperienze della vita?
Questo e solo questo è ciò che il mondo, le altre confessioni religiose, la politica vogliono da noi; il nostro unico modo di essere “sale”.
Solo coscienti di questa Presenza abbiamo la speranza di procedere nel sentiero, al sicuro dalle insidie che la “dittatura del pensiero unico” (forse il maggiore tra i “punti di rottura per la Sinodalità”) pone continuamente ai nostri passi. Combattere questa dittatura può costarci l’emarginazione. Del resto la storia della Chiesa è passata anche dalle catacombe e, se allarghiamo lo sguardo, ci rendiamo conto che nella nostra era le persecuzioni dei cristiani sono quotidiane, e non solo nei paesi a noi lontani.
Ma, ammettiamolo, Chi ci ha invitato a questa camminata in montagna pur promettendoci che avremmo visto un cielo nuovo e una terra nuova, non ha mai parlato di un sentiero facile.
Enrico Remiddi