Questa sintesi nasce dall’ascolto vissuto negli incontri svolti con alcune comunità parrocchiali, con gli studenti dell’ultimo anno della scuola secondaria superiore e da colloqui con alcuni colleghi.
Il rapporto personale con la Chiesa è fortemente caratterizzato dalla ricchezza delle relazioni personali vissute nella comunità. Non è il dato di fede in sé, ma l’esperienza di fede vissuta con i fratelli, che determina il sentirsi membro vivo di una comunità, che aiuta a vivere il Vangelo in ogni ambiente. Tutti abbiamo bisogno di sentirci accolti ed accompagnati in un contesto sociale dove la fragilità, la solitudine è comune a tutti. Alcune persone hanno manifestato il sentire la comunità come una seconda famiglia. Il silenzio di molti studenti, anche se la maggior parte appartenenti ad altre diocesi, sul rapporto tra la vita personale e la chiesa è stato più eloquente di tante parole. Una chiesa che sembra non aver più capacità di proposta per la loro esistenza, anche solo sul piano antropologico.
Soprattutto negli incontri è emerso il bisogno di relazioni profonde con i presbiteri e con i fratelli. Si creano gruppi che operano come nicchie all’interno delle comunità dove sentirsi sicuri, ma diventando chiusi verso gli altri e vivendo una fede tiepida. Le esigenze organizzative e di funzionamento della chiesa sembrano prevalere, a scapito proprio della centralità della relazione “riflesso dell’Alleanza”, creando distacchi soprattutto con le famiglie ed i giovani. La maggior parte delle persone, al di là di alcune esperienze particolari, rileva una difficoltà di far sentire l’accoglienza nella chiesa, ma percepisce piuttosto un atteggiamento di giudizio nei confronti dell’altro; aspetto maggiormente sottolineato da chi vive occasionalmente un rapporto con la Chiesa o totalmente estraneo all’ambiente ecclesiale. Un’istituzione staccata dalla realtà, attenta più a porre regole, piuttosto che incontrare persone. Il bene, riconosciuto da tutti, che fa la Chiesa è percepito come una sorta di eccezione, dovuta alle capacità ed iniziativa di un singolo sacerdote o di un gruppo di fedeli, piuttosto che come un servizio comunitario. Bisogna aiutare le persone a “superare la paura di accogliere Gesù, che incontra l’uomo nella sua concreta situazione di vita, amandolo. Promuovere la cura delle relazioni, con un atteggiamento “empatico” che parte dall’ASCOLTO DELLA PAROLA. Da un ascolto vissuto, nasce un modo di vivere che spinge ad incontrare l’altro, in qualunque ambiente, permettendogli di raccontare la sua storia, di porre qualunque domanda senza pretendere o preoccuparsi di dare subito le risposte giuste, ma “aprendo le braccia all’altro” e “parlando con il cuore”.
“Quando avevo bisogno la Chiesa mi ha accolto”. Una comunità che incontra, senza considerare in quale situazione si trova la persona, stando in mezzo alla gente, compiendo “gesti semplici e concreti “. Un ascolto e un’accoglienza indispensabili soprattutto verso i giovani, ai quali mancano “modelli di fede”, superando da parte degli adulti un atteggiamento di sfiducia e giudizio nei loro confronti, anche per una ricostruzione del dialogo intergenerazionale, dai risvolti fondamentali per la vita sociale.
Anche nelle celebrazioni sarebbe importante una maggiore attenzione ai gesti di ’accoglienza soprattutto nei confronti delle famiglie e dei bambini, offrendo “un momento di pausa e ricarica alle loro fatiche quotidiane”, scandite da ritmi intensi e vincolanti.
Una chiesa con “una porta più aperta” ed in movimento verso il mondo.