Un saluto a tutti voi…
…potremo dire che il nostro è un APPUNTAMENTO CONSUETO di inizio anno che caratterizza il convenire della nostra comunità diocesana ma l’impressione è che questi tempi che stiamo attraversando abbiano poco di consueto e ci interrogano fortemente sul nostro ESSERE CHIESA. Ecco allora che ci è sembrato opportuno, così come scritto nell’invito, cambiare il nome a questo nostro incontro di inizio anno rendendolo più corrispondente all’esperienza che vogliamo fare, con l’ambizione che questa due giorni diocesana possa inserirsi in modo significativo e costruttivo nel cammino sinodale che abbiamo intrapreso insieme a tutte le Chiese particolari che sono in Italia. Non CONVEGNO DIOCESANO quindi ma ASSEMBLEA DIOCESANA che significa, dialogo, confronto, ma soprattutto ASCOLTO dove ognuno di noi è invitato a mettersi in gioco fino in fondo. Più volte in questi anni abbiamo parlato come Chiesa della volontà di CAMMINARE INSIEME, ecco allora che questa diventa per la nostra comunità particolare una di quelle occasioni concrete in cui provare ad attuare questa comune volontà.
In questo contesto interpreto il mio ruolo come quello di chi è chiamato a FARE SINTESI dando ragione del cammino fatto fino ad oggi. È questo il senso che voglio dare a questa mia relazione confidando di essere fedele a quanto lo Spirito Santo sta suscitando evitando il più possibile di metterci del MIO. Al di là di tutto mi interessa di fare essenzialmente un atto d’amore; accoglietelo così ma soprattutto sforziamoci insieme di vivere questo momento e questi giorni in quell’ascolto che è accoglienza reciproca, libera da quei pregiudizi e preconcetti che inevitabilmente ognuno di noi, al di là della buona volontà che lo anima, porta con sé.
Avrete notato il titolo particolare che abbiamo dato a quest’Assemblea Diocesana: Quale CANTIERE per una Chiesa Sinodale? In ascolto dello Spirito… per camminare insieme.
È un titolo che racconta dell’itinerario fatto fino ad oggi e che per quanto suggestivo necessita di una spiegazione che richiede un passo indietro, attraversando a grandi linee le tappe percorse.
Lo faccio ben consapevole che fino a prima del mio recente arrivo qui come vescovo diocesano lo scorso 26 giugno, il servizio che mi era affidato mi vedeva con un altro ruolo ma anche a stretto contatto con alcune situazioni particolari che mi hanno visto presente in alcuni tempi chiave di questo percorso. Il 30 gennaio 2021, nell’udienza all’Ufficio catechistico nazionale, papa Francesco, prendendo tutti in contropiede prospetta un Sinodo nazionale: “Dopo cinque anni, la Chiesa italiana deve tornare al Convengo di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare”. Questa necessità Papa Francesco la aveva già indicata a Firenze, nel novembre 20151, quando aveva parlato di “stile sinodale” invitando “ogni comunità, ogni parrocchia e istituzione, ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione”, ad avviare “un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni”. Di fronte al “cambiamento d’epoca” – e non semplicemente ad “un’epoca di cambiamento” – Francesco chiede “di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli”, all’insegna dell’inclusività e della creatività, nella consapevolezza che “il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà”. Sempre nel contesto del Convegno Ecclesiale, il Papa lancia tre parole chiave – umiltà, disinteresse, beatitudine – definendole i “tratti” di una Chiesa “che sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente”. Il 30 aprile 2021, ricevendo in udienza il Consiglio nazionale dell’Azione Cattolica, il Papa ribadisce la sua proposta ed evidenzia altri elementi importanti per il Cammino delle Chiese in Italia: ricorda che “quello sinodale non è tanto un piano da programmare e da realizzare, una decisione pastorale da prendere, ma anzitutto uno stile da incarnare”, precisa che “sinodalità” non significa “maggioranza”, non è un “parlamento”, quanto piuttosto irruzione dello Spirito2: “Non può esistere sinodalità – afferma – senza lo Spirito, e non esiste lo Spirito senza la preghiera”. Anche l’Assemblea della Cei, a maggio, è occasione per tornare sulla questione.
Maggio 2021 inizio ufficiale nella settantaquattresima Assemblea Generale dei Vescovi
«I Vescovi italiani danno avvio, con questa Assemblea, al cammino sinodale secondo quanto indicato da Papa Francesco e proposto in una prima bozza della Carta d’intenti presentata al Santo Padre. Al tempo stesso, affidano al Consiglio Permanente il compito di costituire un gruppo di lavoro per armonizzarne temi, tempi di sviluppo e forme, tenendo conto della Nota della Segreteria del Sinodo dei Vescovi del 21 maggio 2021, della bozza della Carta d’intenti e delle riflessioni di questa Assemblea».
Vengono così definite tre fasi corrispondenti anche ad una scansione temporale:
La fase narrativa è costituita da un biennio in cui viene dato spazio all’ascolto e al racconto della vita delle persone, delle comunità e dei territori. Nel primo anno (2021-22) vengono rilanciate le proposte della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi per la XVI Assemblea Generale Ordinaria; nel secondo anno (2022-23) la consultazione del Popolo di Dio si concentrerà su alcune priorità che saranno individuate dall’Assemblea Generale della CEI del maggio 2022.
La fase sapienziale è rappresentata da un anno (2023-24) in cui le comunità, insieme ai loro pastori, s’impegneranno in una lettura spirituale delle narrazioni emerse nel biennio precedente, cercando di discernere “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” attraverso il senso di fede del Popolo di Dio. In questo esercizio saranno coinvolte le Commissioni Episcopali e gli Uffici pastorali della CEI, le Istituzioni teologiche e culturali.
La fase profetica culminerà, nel 2025, in un evento assembleare nazionale da definire insieme strada facendo. In questo con-venire verranno assunte alcune scelte evangeliche, che le Chiese in Italia saranno chiamate a riconsegnare al Popolo di Dio, incarnandole nella vita delle comunità nella seconda parte del decennio (2025-30).
A che punto ci troviamo? Siamo ancora nella prima fase, quella che è stata definita “narrativa” e che precisamente corrisponde al secondo anno di ascolto. Ogni comunità, rispondendo a delle domande provenienti in particolare dal Sinodo dei Vescovi per la XVI Assemblea Generale Ordinaria si è attivata per organizzare questo tempo dedicato all’ASCOLTO.
Gli aspetti di limite sono stati evidenti in un tempo breve e condizionato in parte ancora da conseguenze importanti legate alla pandemia che hanno reso spesso problematico realizzare incontri in PRESENZA.
Il movimento generato a livello nazionale
Si sono formati circa 50.000 gruppi sinodali, con i loro facilitatori, per una partecipazione complessiva di mezzo milione di persone. Più di 400 referenti diocesani hanno coordinato il lavoro, insieme alle loro équipe, sostenendo iniziative, producendo sussidi e raccogliendo narrazioni. Si è creata una rete di corresponsabili che è un primo frutto, inatteso, del Cammino.
È unanime la richiesta di proseguire con lo stesso stile, trovando i modi per coinvolgere le persone rimaste ai margini del Cammino e mettersi in ascolto delle loro narrazioni. È diventato sempre più chiaro che lo scopo non è tanto quello di produrre un nuovo documento – pure utile e necessario alla fine del percorso – ma quello di avviare una nuova esperienza di Chiesa. Unanime è stato l’apprezzamento per il metodo della conversazione spirituale (nella prospettiva di Evangelii gaudium 51) a partire da piccoli gruppi disseminati sul territorio
Proprio il generale riscontro positivo che ha avuto, anche nella nostra diocesi, il metodo della conversazione spirituale, ci ha spinto ad adottarlo anche in questa Assemblea Diocesana nei lavori di gruppo che fra poco avvieremo.
Il movimento generato nella nostra diocesi nel primo anno di ascolto
il Vescovo Vincenzo ha anzitutto nominato i due referenti diocesani, come indicato dal Vademecum e richiesto dalla Conferenza Episcopale Italiana: Marta D’Emilio e Nicolino Tartaglione. Ha poi costituito una Commissione diocesana per il sinodo, che fosse rappresentativa di tutta la diocesi: oltre ai due delegati, compongono il gruppo suor Debora Aglietti, Sophia Bevilacqua, Paola Cascioli, Costantino Coros e Adelaide Tosto, Stanislao Fioramonti, Simone Iuliano, don Christian Medos, Massimiliano Postorino, don Daniele Valenzi, don Dario Vitali.
Al termine della consultazione sono pervenute alla Commissione diocesana le seguenti relazioni: 16 dalle Parrocchie; sintesi dagli Uffici diocesani (Caritas, Pastorale Sociale e del lavoro, Ufficio missionario); dal Centro di ascolto Caritas diocesano; dal gruppo dei Diaconi permanenti diocesani; 2 da Associazioni: Scouts d’Europa di S. Clemente, Azione Cattolica di Santa Barbara; da un Gruppo occasionale: Gruppo fidanzati; 3 da singoli, di cui 2 da professori di Religione.
– forma preferita di consultazione è stata quella del QUESTIONARIO: anche se ci sono relazioni che parlano di gruppi sinodali di ascolto;
– che i destinatari della consultazione sono stati in genere quanti già frequentano la Chiesa; l’incontro con ambienti extra-ecclesiali è dipeso da singoli o è stato realizzato con le modalità della consultazione on-line o con la distribuzione di schede da riempire;
– che per i più la consultazione si è risolta nella sola assemblea proposta dalla Commissione diocesana.
DOMANDA 1: Nella tua esperienza di vita che contatti hai avuto con la Chiesa? Ti sei sentito accolto e aiutato oppure no?
Per tutti la Chiesa è identificata con la parrocchia e con il “prete“, visto come necessario dai primi per la guida della comunità, percepito come figura superata e non all’altezza delle questioni emergenti della modernità dai secondi, custode di una visione della vita ormai fuori dal tempo, spiegata con termini ormai incomprensibili e concetti inadeguati.
La famiglia è indicata come il luogo che costituisce il cardine delle comunità cristiane
L’ambito sociale, con una forte urgenza per la cura dei poveri
I ministri ordinati, in particolare i sacerdoti, costituiscono, nel bene e nel male, le figure su cui maggiormente si concentra l’attenzione.
In genere le relazioni restituiscono il profilo di comunità poco vive, fortemente ancorate a un cristianesimo tradizionale.
DOMANDA 2: Oggi, rispetto alla Chiesa, dove ti collochi?
Due gruppi nettamente distinti: coloro che si sentono «dentro» la Chiesa, «parte» della comunità; coloro che, invece, si sentono «sulla soglia», più pronti ad uscire che ad entrare.
Chi vive una frequenza saltuaria dichiara di aver ricevuto buona accoglienza, ma di non essersi sentito accompagnato e sostenuto nel cammino; di aver conosciuto una vicinanza significativa nelle situazioni dolorose o problematiche, senza tuttavia che si trasformasse in reale accompagnamento.
Linguaggio della predicazione appare a molti lontano dalla vita, estraneo alla radicalità del Vangelo; non di rado si contrappone la distanza tra le parole e la vita.
Esiste comunque un laicato che esprime un forte impegno dentro la Chiesa, anche se appare disarticolato, con presenze sparse in associazioni e movimenti che hanno poco legame con la vita e il cammino della nostra Chiesa
I giovani, sia quelli all’interno che quelli all’esterno delle comunità cristiane, alla domanda sul dove si collocano rispetto alla Chiesa di oggi, chiedono chiarezza e un dibattito aperto su questioni di morale, di fede e ragione. I giovani preferiscono, tuttavia, l’ascolto individuale a quello comunitario.
Dalle relazioni emerge pure che il tempo così prolungato della pandemia ha notevolmente contribuito alla dispersione delle comunità.
DOMANDA 3: Quali passi alla luce della tua esperienza la Chiesa dovrebbe compiere per camminare a fianco di ogni persona?
Emerge con chiarezza che la Chiesa ha la missione di essere vicina ad ogni tipo di sofferenza, mostrando prossimità, vicinanza e comprensione. Questa visione è sostenuta sia da quanti si sentono parte integrante della comunità cristiana, sia da quanti vivono ai margini.
Le richieste convergono su due ambiti, verso i quali la Chiesa dovrebbe manifestare la sua cura: la famiglia, con particolare attenzione alla formazione dei bambini, dei ragazzi, dei giovani e un accompagnamento ai genitori.
La carità, come espressione della vicinanza della Chiesa ai poveri e agli esclusi.
In merito alla comunione, alla partecipazione e alla missione in filigrana emerge quanto segue:
– Sulla comunione: si nota dalle relazioni una netta distinzione e divisione tra quelli che si sentono dentro la comunità cristiana e quelli che si situano sulla soglia o addirittura fuori. Appare necessario e urgente costruire una vera relazione tra le due posizioni, per superare una separazione che si traduce in estraneità. In questa prospettiva una comunità cristiana chiusa in se stessa rischia di essere autoreferenziale, impedendo a chi si trova all’esterno di essere incluso e di sentirsi parte del Popolo di Dio.
– Sulla partecipazione: dalle risposte emerge che soltanto chi ha una funzione all’interno della comunità cristiana si sente in qualche modo partecipe (anche se non del tutto corresponsabile) della vita della comunità. Non c’è dunque una partecipazione alla vita della Chiesa come Popolo di Dio: il legame alla Chiesa è sentito solamente in termini individuali, mentre sembra mancare del tutto la consapevolezza che il soggetto attivo sia la Chiesa stessa come Popolo di Dio, il quale partecipa alla funzione profetica, sacerdotale e regale di Cristo. È per questa via che lo Spirito suscita carismi, ministeri, vocazioni per il rinnovamento della Chiesa.
– Sulla missione: dalle relazioni non emerge chiaramente il tema della missione, trattato solo indirettamente quando si accenna a situazioni di fragilità che necessitano da parte della comunità cristiana uno slancio in uscita.
Dalla restituzione fatta dalle Chiese Diocesane e dal successivo passaggio nella settantaseiesima Assemblea Generale dei vescovi di maggio del 2022 è scaturito un documento nazionale che è stato diffuso con il titolo de “I Cantieri di Betania”. È da lì che abbiamo preso spunto per la nostra Assemblea Diocesana. Si tratta di un’immagine ripresa dal vangelo di Luca (Lc 10,38-42) che si riferisce all’incontro di Gesù con le due sorelle Marta e Maria nella loro casa di Betania.
Quella del cantiere è un’immagine che indica la necessità di un lavoro che duri nel tempo, che non si limiti all’organizzazione di eventi, ma punti alla realizzazione di percorsi di ascolto ed esperienze di sinodalità vissuta.
Il documento nazionale offre delle prospettive per il secondo anno di ascolto.
Emerge unanime la richiesta di proseguire con lo stesso stile, trovando i modi per coinvolgere le persone rimaste ai margini del Cammino e mettersi in ascolto delle loro narrazioni. È diventato sempre più chiaro che lo scopo non è tanto quello di produrre un nuovo documento – pure utile e necessario alla fine del percorso – ma quello di avviare una nuova esperienza di Chiesa. Unanime è stato l’apprezzamento per il metodo della conversazione spirituale (nella prospettiva di Evangelii gaudium 51) a partire da piccoli gruppi disseminati sul territorio
Proprio il generale riscontro positivo che ha avuto, anche nella nostra diocesi, il metodo della conversazione spirituale, ci ha spinto ad adottarlo in questa Assemblea Diocesana nei lavori di gruppo che fra poco avvieremo.
Sono tre/quattro i cantieri “aperti” che vengono indicati e suggeriti in conseguenza del primo anno di ascolto (cfr. pgg. 7-13, I Cantieri di Betania. Prospettive per il secondo anno del Cammino sinodale, Conferenza Episcopale Italiana, Roma, 11 luglio 2022).
- Il Cantiere della strada e del villaggio
Si apre per noi il cantiere della strada e del villaggio, dove presteremo ascolto ai diversi “mondi” in cui i cristiani vivono e lavorano, cioè “camminano insieme” a tutti coloro che formano la società; in particolare occorrerà curare l’ascolto di quegli ambiti che spesso restano in silenzio o inascoltati: innanzitutto il vasto mondo delle povertà: indigenza, disagio, abbandono, fragilità, disabilità, forme di emarginazione, sfruttamento, esclusione o discriminazione (nella società come nella comunità cristiana), e poi gli ambienti della cultura (scuola, università e ricerca), delle religioni e delle fedi, delle arti e dello sport, dell’economia e finanza, del lavoro, dell’imprenditoria e delle professioni, dell’impegno politico e sociale, delle istituzioni civili e militari, del volontariato e del Terzo settore
Occorrerà, dunque, uno sforzo per rimodulare i linguaggi ecclesiali, per apprenderne di nuovi, per frequentare canali meno usuali e anche per adattare creativamente il metodo della “conversazione spirituale”, che non potrà essere applicato dovunque allo stesso modo e dovrà essere adattato per andare incontro a chi non frequenta le comunità cristiane. In tal senso, sarà importante rafforzare e rendere stabile nel tempo l’ascolto dei giovani che il mondo della scuola e dell’università ha reso possibile, così da entrare in relazione con persone che altrimenti la Chiesa non incontrerebbe.
Domanda di fondo: come il nostro “camminare insieme” può creare spazi di ascolto reale della strada e del villaggio?
- Il cantiere dell’ospitalità e della casa
Questo cantiere si può aprire anche sugli orizzonti del decentramento pastorale, per una presenza diffusa sul territorio, oltre che sulle strutture amministrative come le “unità pastorali” e simili.
Nell’ambito del cantiere sinodale si potrà poi rispondere alla richiesta, formulata da molti, di un’analisi e un rilancio degli organismi di partecipazione (specialmente i Consigli pastorali e degli affari economici), perché siano luoghi di autentico discernimento comunitario, di reale corresponsabilità, e non solo di dibattito e organizzazione.
Domanda di fondo: come possiamo “camminare insieme” nella corresponsabilità?
- Il cantiere delle diaconie e della formazione spirituale
Il servizio necessita, dunque, di radicarsi nell’ascolto della parola del Maestro (“la parte migliore”, Lc 10,42): solo così si potranno intuire le vere attese, le speranze, i bisogni. Imparare dall’ascolto degli altri è ciò che una Chiesa sinodale e discepolare è disposta a fare.
Spesso la pesantezza nel servire, nelle comunità e nelle loro guide, nasce dalla logica del “si è sempre fatto così” (cf. Evangelii gaudium 33), dall’affastellarsi di cose da fare, dalle burocrazie ecclesiastiche e civili incombenti, trascurando inevitabilmente la centralità dell’ascolto e delle relazioni.
Si incroceranno, inoltre, le questioni legate alla formazione dei laici, dei ministri ordinati, di consacrate e consacrati; le ministerialità istituite, le altre vocazioni e i servizi ecclesiali innestati nella comune vocazione battesimale del popolo di Dio “sacerdotale, profetico e regale”. La centralità delle figure di Marta e Maria richiama poi esplicitamente il tema della corresponsabilità femminile all’interno della comunità cristiana
Domanda di fondo: come possiamo “camminare insieme” nel riscoprire la radice spirituale (“la parte migliore”) del nostro servizio?
Ogni Chiesa locale ha poi la possibilità di individuare un quarto cantiere, valorizzando una priorità risultante dalla propria sintesi diocesana o dal Sinodo che sta celebrando o ha concluso da poco.
Il documento “I Cantieri di Betania” è accompagnato da un Vademecum che lo riprende e lo sviluppa in senso operativo, ponendosi come strumento al servizio dei Vescovi, dei referenti diocesani e delle équipe che promuovono il Cammino sinodale. Insieme ad alcune indicazioni metodologiche, il Vademecum offre alcuni spunti per realizzare i cantieri e favorire l’esperienza sinodale a più livelli.
Il primo anno di ascolto ha offerto la medesima proposta a tutti coloro che si sono lasciati coinvolgere: partecipare a un gruppo sinodale. La novità del secondo anno è la pluralità dei cantieri, che apre la possibilità di proposte differenziate. In entrambe le metodologie è fondamentale il servizio delle équipe diocesane.
Che cos’è, dunque, un “cantiere”? Lo si può pensare come uno spazio di ascolto e di ricerca in cui proporre attività e dinamiche utili a confrontarsi sinodalmente sugli ambiti proposti ne I cantieri di Betania. Il testo non precisa su quali temi ogni Diocesi debba lavorare, ma identifica tre filoni, lasciando a ciascuna Chiesa locale piena libertà di decidere come concretizzarli all’interno del proprio contesto specifico, oltre alla possibilità di attivare un “quarto cantiere”, legato alla particolarità della realtà diocesana.
È importante che tutta la comunità sia coinvolta, in diverso modo, nell’esperienza dei cantieri. La scelta di quali aprire, la loro attivazione e quanto da essi andrà emergendo: tutti i singoli passi compiuti dovranno essere comunicati e condivisi così che essi siano realmente una esperienza di sinodalità vissuta.
I cantieri costituiscono l’occasione per un confronto che si allarghi oltre la cerchia di quanti frequentano la comunità.
La sfida metodologica si gioca su un duplice versante, con il ruolo decisivo dell’équipe diocesana: gestire il processo che porta alla scelta di quali cantieri attivare e condurre ciascun cantiere attivato con la metodologia appropriata. In entrambi i casi viene ribadito che occorre approfondire e far evolvere il metodo della conversazione spirituale così come sperimentato nei Gruppi sinodali del primo anno e come prospettato dal n. 51 dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium.
Per favorire la restituzione in itinere, le singole Diocesi e le altre realtà ecclesiali, una volta definiti i cantieri, comunicheranno al Gruppo di coordinamento nazionale il tema e le domande che li caratterizzano. A questi si aggiungeranno alcuni cantieri di ascolto attivati a livello nazionale, a partire da gennaio 2023, su tematiche specifiche. Alle équipe diocesane sarà chiesto di identificare persone ed esperienze, in modo da realizzare un ascolto che coinvolga tutto il Paese e valorizzi le diverse realtà locali.
Dagli organismi diocesani di partecipazione un primo contributo
I due documenti frutto del percorso fin qui fatto, sono stati già introdotti nella nostra diocesi facendone occasione di sinodalità nell’ambito dei consigli diocesani, cercando di raccogliere in qualche modo l’indicazione proveniente dal secondo cantiere, quello dell’ospitalità e della casa coinvolgendo in un esercizio di primo discernimento gli organismi di partecipazione in particolare il Consiglio Pastorale Diocesano nella riunione del 29 settembre ed il Consiglio Presbiterale nella riunione del 30 settembre.
Emerge la questione del LINGUAGGIO da dover adattare e rendere comprensibile per tener vivo il dialogo in particolare con il mondo dei GIOVANI. E qui, come segnalato nel primo cantiere della strada e del villaggio in diversi avvertono in particolare l’esigenza di riallacciare un rapporto con il mondo giovanile.
Ugualmente significativo quanto segnalato a proposito della necessità di accrescere il dialogo fra laici e sacerdoti nel segno di una CORRESPONSABILITÀ che arrivi a pensare anche nuove forme di comunità e che potremmo collocare nell’ambito del terzo cantiere delle diaconie e della formazione spirituale. Collegata con questa riflessione è stata segnalata soprattutto nel Consiglio presbiterale la condizione particolare della Chiesa in Italia e della nostra Diocesi a proposito della esigua presenza di sacerdoti diocesani incardinati. Allo stesso tempo abbiamo una vivace e significativa presenza di diaconi il cui servizio già oggi è prezioso. L’esiguità del clero una questione che ci interroga e che non possiamo continuare ad ignorare pensando ad esempio che sarà possibile per il futuro avere un sacerdote per ogni parrocchia. Non sarà più così ma questa costatazione deve diventare oggetto di una riflessione approfondita che va al di là anche di questo cammino sinodale particolare. Possiamo decidere di continuare a tamponare la situazione ma a me sembra il Signore ci sta dicendo che è necessario affrontare positivamente la questione evitando di cedere al pessimismo con la consapevolezza che questo è soprattutto un TEMPO DI GRAZIA che richiede delle azioni nuove affinché possiamo continuare a portare in modo efficace e credibile l’annuncio di risurrezione. C’è una recente pubblicazione del vescovo Erio CASTELLUCCI, delle diocesi di Modena-Nonantola, Carpi e vicepresidente della CEI, che titola in questo modo: Benedetta crisi! Il contagio della fede nella Chiesa che verrà3.
La dimensione dell’ASCOLTO, al di là dell’accentuazione di questo momento, viene ritenuta fondamentale nella direzione dell’imparare ad ascoltare il CUORE delle persone e mi viene da dire che dietro questa sottolineatura emerge soprattutto la volontà di riuscire ad arrivare a TOCCARE il CUORE delle persone coltivando le relazioni. Si tratta di una questione di STILE DI CHIESA da vivere 24 ore su 24. Potremmo dire qui di stare nell’ambito del secondo cantiere dell’ospitalità e della casa.
Viene ribadita la necessità di CAMMINARE INSIEME e di imparare a farlo sempre di più nel rispetto dei tempi delle persone e della stessa comunità. È nella linea del comprendere come diventare attrattivi a partire dall’annuncio da fare attraverso la Parola poi che viene sottolineata la presa di coscienza di dover maturare arrivando come comunità cristiana ad una rottura degli schemi con il passato4.
Altra dimensione evidenziata da curare a mo’ di cantiere da edificare è quella della Missione e della Missionarietà5.
Abbiamo messo molta carne al fuoco ma non dobbiamo impressionarci, il cammino sinodale delle Chiese italiane costituisce certamente un forte stimolo per tutti noi affinché non ci dimentichiamo mai che siamo comunità solo se attiviamo quotidianamente una conversione continua per non far trovare ostacoli allo Spirito Santo e perché possiamo da Lui ricevere la mappa per riconoscere la strada da seguire con coraggio e perseveranza.
Non dobbiamo aggiungere COSE ma soltanto indirizzare e dare QUALITA’ a quanto già facciamo sapendo che ci è richiesto di continuare a coltivare la dimensione dell’ASCOLTO. Mi viene da dire che questo è il tempo di una nuova semina e che non dobbiamo scoraggiarci se i frutti non sono corrispondenti alle nostre aspettative6. Abbiamo nuove strade da percorrere abbandonando la spinta all’individualismo che caratterizza particolarmente questa stagione e che dobbiamo esserne coscienti, fa breccia non raramente anche dentro la comunità cristiana. Siamo chiamati a far crescere quel NOI CHIESA nelle tante dimensioni che ci richiedono di essere autentici testimoni del Vangelo.
[1] 10 novembre 2015, Firenze, Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Il nuovo umanesimo in Cristo Gesù … Cari fratelli e sorelle, nella cupola di questa bellissima Cattedrale è rappresentato il Giudizio universale. Al centro c’è Gesù, nostra luce. L’iscrizione che si legge all’apice dell’affresco è “Ecce Homo”. Guardando questa cupola siamo attratti verso l’alto, mentre contempliamo la trasformazione del Cristo giudicato da Pilato nel Cristo assiso sul trono del giudice. Un angelo gli porta la spada, ma Gesù non assume i simboli del giudizio, anzi solleva la mano destra mostrando i segni della passione, perché Lui «ha dato sé stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,6). «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17). Nella luce di questo Giudice di misericordia, le nostre ginocchia si piegano in adorazione, e le nostre mani e i nostri piedi si rinvigoriscono. Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo. È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. È il misericordiae vultus. Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il nostro umanesimo. Facciamoci inquietare sempre dalla sua domanda: «Voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15).
[2] «Il vostro contributo più prezioso potrà giungere, ancora una volta, dalla vostra laicità, che è un antidoto all’autoreferenzialità. È curioso: quando non si vive la laicità vera nella Chiesa, si cade nell’autoreferenzialità. […] Laicità è anche un antidoto all’astrattezza: un percorso sinodale deve condurre a fare delle scelte. E queste scelte, per essere praticabili, devono partire dalla realtà, non dalle tre o quattro idee che sono alla moda o che sono uscite nella discussione. Non per lasciarla così com’è, la realtà, no, evidentemente, ma per provare a incidere in essa, per farla crescere nella linea dello Spirito Santo, per trasformarla secondo il progetto del Regno di Dio».
[3] Dall’introduzione «Pregate sempre per me perché io abbia il coraggio di rimanere in crisi»: è l’intenzione paradossale espressa da papa Francesco nel Natale 2020 ad aprire la riflessione di Erio Castellucci, che in queste pagine cerca di delineare una “spiritualità della crisi”. Difficoltà, scompensi, sconvolgimenti non sono scherzi del destino, ma tappe obbligate di qualsiasi percorso personale e sociale. Sono eventi che scuotono, che fanno perdere l’equilibrio e piombare nell’incertezza, ma non sono solo negativi, non significano rovina e distruzione. Non soltanto la storia in generale, ma proprio la storia biblica è piena di personaggi inquieti, che attraversano fatiche e sofferenze dalle quali nascono strade di salvezza. Nel nostro tempo alle tante emergenze del mondo globalizzato – guerre, terrorismo, clima, migrazioni – si aggiungono per la Chiesa povertà morali e strutturali: calo della partecipazione, crollo delle vocazioni, secolarizzazione, scandali tra i religiosi, irrilevanza nella società. Un dissesto epocale, che potrebbe portare a un giudizio sconfortato sul valore della stessa fede. Ma sarebbe una conclusione frettolosa. Se osserviamo ciò che è avvenuto nei secoli, vediamo che i periodi più tormentati sono quelli in cui la santità della Chiesa è fiorita, perché la crisi non è solo un fatto, ma una dimensione dei corpi vivi e un sintomo di coraggio e progressione. Se i cristiani si sentono oggi una minoranza, se la fede non costituisce più un presupposto comune, anzi viene emarginata o negata, allora è il momento di riscoprirsi piccolo gregge e di lasciarsi mettere in crisi dal Vangelo.
[4] Infine, rimarchiamo che l’evangelizzazione è essenzialmente connessa con la proclamazione del Vangelo a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato. Molti di loro cercano Dio segretamente, mossi dalla nostalgia del suo volto, anche in paesi di antica tradizione cristiana. Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma «per attrazione». (EG 14).
[5] Giovanni Paolo II ci ha invitato a riconoscere che «bisogna, tuttavia, non perdere la tensione per l’annunzio» a coloro che stanno lontani da Cristo, «perché questo è il compito primo della Chiesa». L’attività missionaria «rappresenta, ancor oggi, la massima sfida per la Chiesa» e «la causa missionaria deve essere la prima». Che cosa succederebbe se prendessimo realmente sul serio queste parole? Semplicemente riconosceremmo che l’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa. In questa linea, i Vescovi latinoamericani hanno affermato che «non possiamo più rimanere tranquilli, in attesa passiva, dentro le nostre chiese» e che è necessario passare «da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria». (EG 15).
[6] Papa Francesco alla Curia Romana, 21 dicembre 2019, «non siamo nella cristianità, non più». Significa che «le popolazioni che non hanno ancora ricevuto l’annuncio del Vangelo non vivono affatto soltanto nei Continenti non occidentali, ma dimorano dappertutto, specialmente nelle enormi concentrazioni urbane che richiedono esse stesse una specifica pastorale».