La Parrocchia Santa Maria del Carmine di Velletri ha vissuto il momento della sinodalità in due modi: in presenza, attraverso assemblee parrocchiali e incontri di gruppo, e online, mediante un questionario anonimo che riportava le domande proposte dalla diocesi. E’ stato deciso di attivare quest’ultima modalità anche per far fronte a chi, per problemi lavorativi o familiari, non poteva essere presente fisicamente agli incontri. Inoltre questa opportunità ha permesso a molti di esprimersi, di raccontarsi più liberamente e di dare il proprio contributo, senza la paura di sentirsi giudicati. Di seguito riportiamo la relazione conclusiva suddivisa per domande.
Nella tua esperienza di vita che contatti hai avuto con la Chiesa? Ti sei sentito accolto e aiutato oppure no?
Da questa domanda emerge un’esperienza variegata di Chiesa: c’è chi l’ha vissuta come un percorso, un cammino di crescita personale e spirituale, c’è chi ha frequentato la parrocchia fin da bambino nei gruppi di Azione Cattolica o catechismo ed è rimasto a svolgere il proprio servizio di catechesi, chi vive la Chiesa come una grande famiglia, dove la relazione con Dio e i fratelli è importante, c’è anche chi ha vissuto momenti di carattere nazionale e internazionale, come i grandi raduni dei giovani italiani o le Gmg, oppure chi presta il proprio servizio nella Caritas a stretto contatto con il disagio e le fragilità dell’uomo. Ma, c’è anche chi vive solo l’aspetto folkloristico e tradizionalista della parrocchia, solo in determinati periodi dell’anno, magari nelle feste di precetto come il Natale e la Pasqua, o per la festa parrocchiale, mettendo in primo piano solo l’aspetto mangereccio e conviviale. Nella nostra parrocchia sono presenti delle persone che abitano in altre zone di Velletri e che, dopo diverse esperienze di chiese locali, hanno deciso di frequentare la nostra comunità poiché, proprio qui, hanno ritrovato o scoperto un senso di familiarità che mancava da altre parti. Molte persone si sono sentite accolte e/o aiutate, ma molti altri (anche persone frequentanti) hanno avuto, ed hanno tuttora, un pessimo rapporto con la Chiesa, per diversi motivi: freddezza tra il sacerdote e fedeli, forte sensazione di giudizio sulla propria storia personale, incoerenza tra parole e gesti, percorso sacramentale vissuto come un obbligo e non come una scelta personale, una chiusura nei gruppi giovani parrocchiali e diocesani con un forte senso di estraneità, poco ascolto dell’altro soprattutto nei momenti di sconforto e di buio, errata visione di Dio: non un padre misericordioso, ma un severo giudice punitore. Tutto ciò ha creato un allontanamento delle persone; dunque, giovani, genitori e adulti attualmente hanno una pessima considerazione della Chiesa e del messaggio cristiano, totalmente travisato. Di conseguenza, tra i collaboratori parrocchiali si respira un forte senso di stanchezza: ci si sente solo esecutori, senza considerare che dietro ognuno di noi c’è una storia spirituale e personale, e una stanchezza che tanto vorrebbe parlare, ma non trova un tempo e un luogo per essere accolta e ascoltata. Si impiega molta energia per arrivare al cuore dei ragazzi, degli adulti, delle famiglie, senza nessun risultato. Il senso di frustrazione è alto poiché la maggior parte delle persone che frequentano la Santa Messa non sono interessati a niente, nemmeno e soprattutto a Dio. Molti genitori ritengono che la celebrazione eucaristica non sia il fulcro dell’incontro con Cristo; questi stessi decidono dunque di non parteciparvi, pur mantenendo la tradizione di ricevere il sacramento e di mandare i figli al catechismo, che è visto esclusivamente come un percorso riservato ai bambini e che non deve intaccare gli impegni familiari. La crepa e la crisi della fede è evidente. Il sacerdote, molto spesso oberato di lavoro, risulta essere più a capo di un’azienda che di una comunità, il pericolo è che possa diventare un manager o commercialista, anziché un pastore. Per molti il sacerdote è visto come un distributore automatico di sacramenti o colui che firma i certificati. Si sente che la Chiesa deve cambiare: non è più il tempo del raccolto ma della preparazione del campo per la semina. I frutti ci sono già stati, ora è il tempo di ricominciare un nuovo ciclo.
Oggi rispetto alla Chiesa dove mi colloco?
Molti si sentono parte della Chiesa in modo attivo, poiché prestano un servizio. Molti altri si collocano ai margini, in attesa di cambiamenti. Tutti riconoscono che la Chiesa deve cambiare, essere al passo con i tempi, diventare vino nuovo in otri nuovi. Quello che appare della Chiesa è un insieme di regole, idee o convinzioni che andrebbero riviste alla luce del Vangelo. Non passa il messaggio dell’essere amato a prescindere, ma costantemente emergono senso del dovere, ricatti morali, sensi di colpa, manipolazione della Parola e dei fratelli per arrivare ai propri obiettivi. La Chiesa dove vogliamo collocarci è quella fondata sulla Parola, trasmessa con amore, condivisa a grandi e piccoli, con parole semplici che sappiano scendere nel quotidiano, con toni pacati perché il messaggio del Vangelo non ha bisogno di toni rabbiosi o di voce alta. Il Vangelo è potente di per sé e arriva sempre e comunque, se veramente c’è stato l’incontro degli incontri, quello con Gesù.
Quali passi alla luce della tua esperienza la Chiesa dovrebbe compiere per camminare a fianco di ogni persona?
La Chiesa dovrebbe essere più concreta e coerente nella testimonianza di fedeltà alla Parola di Dio, grazie alla presenza di persone credenti e credibili. La Chiesa dovrebbe essere più aperta al mondo e non solo affacciata sul mondo, dovrebbe essere un porto sicuro per tutti (poveri, omosessuali, separati o divorziati, single, tatuati, sacerdoti che lasciano il ministero, etc). La Chiesa di Cristo deve accogliere e ascoltare tutti e non lasciare affogare nessuno. Dovrebbe creare nuovi stimoli, supportare le famiglie attraverso percorsi di condivisione. La Chiesa dovrebbe essere più giovane, meno rigida e più inclusiva specialmente con i più giovani. La Chiesa dovrebbe essere al passo con i cambiamenti della società, dovrebbe adeguarsi ai nuovi mezzi di comunicazione (social) ed usarli per stimolare incontri dal vivo e non virtuali. La Chiesa dovrebbe modernizzarsi, andare incontro alle persone e ai loro problemi quotidiani, come ad esempio accettare che le donne possano decidere di interrompere una gravidanza problematica, aprirsi al fatto che le persone non abbiano chiara la propria sessualità, ma anche modernizzare i dogmi, permettere ai sacerdoti di formarsi una famiglia e aprire al sacerdozio femminile. La Chiesa dovrebbe essere più vicina alle persone, incontrandole, preoccupandosi di loro come si fa in una famiglia. Dovrebbe avere meno ritualismi e cerimonie pompose, omelie più coinvolgenti e semplici che arrivino al cuore di tutti i presenti, sia bambini che adulti e che siano in grado di capire tutti, stimolando la riflessione personale, fino a sentire la Parola di Dio come un bisogno per essere felici e per sorprenderci ogni volta dell’amore che Dio ha per noi. Non dovrebbe essere una scuola, dove alla fine dell’anno si arriva al conseguimento del sacramento, dovrebbe essere un’opportunità, quasi una necessità, di crescita familiare, dove bambini e genitori si ritrovino a seguire seriamente un percorso che li aiuti a incontrare e conoscere Dio. La Chiesa dovrebbe essere misericordiosa, meno sfarzosa e ricca, dovrebbe avere l’umiltà di riconoscersi costituita da uomini e donne fragili, perché esseri umani. Ma, in primo luogo, la Chiesa dovrebbe ascoltarsi e lo dovrebbe fare spesso, invitando tutti a prendersi un tempo per chiedersi “Come sto?”, “Mi piace quello che faccio?”, “Mi nutre, mi dà energia?”, “Sono felice?”. La Chiesa ha bisogno di persone (laici, religiosi, suore, presbiteri, vescovi, cardinali, ecc.) che stanno bene fisicamente e psicologicamente. “Può un cieco guidare un altro cieco?”. La Chiesa non può avere alla guida persone cieche, in quanto sono predestinate a fare danni irreversibili; la Chiesa ha bisogno di mettersi continuamente in discussione e di fermarsi, lì dove si sente stanca, ferita, incapace, senza giudicarsi ma accogliersi così com’è.