“Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?”. Io risposi: “Signore, tu lo sai” (Ez 37, 3).
Al termine del periodo di ascolto sinodale, è sorta per noi spontaneamente la domanda di Ezechiele e quindi la risposta arrendevole e fiduciosa del profeta. Signore, tu sai se siamo stati capaci o se lo saremo veramente di vedere i problemi della nostra Comunità cristiana oppure se lasciamo che la barca della Chiesa vada finché va e dove vuole andare. È più facile infatti rassegnarsi e abituarsi che analizzare e reagire. Forse è questo il dono più grande di questo tempo di riflessione. La Sacra scrittura ci è venuta in aiuto, quando nella stessa pericope profetica Dio risponde ad Ezechiele “farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete”. Proprio lo Spirito ci ha “costretti” a guardarci e a guardare, senza finzioni e ipocrisia, certi che la sua azione farà scaturire soluzioni originali, non secondo il pensiero dell’uomo ma secondo quello sorprendente di Dio.
Ascolto
Il primo, più evidente e prorompente dato che è emerso da questo tempo di ascolto sinodale, è che il popolo di Dio ha bisogno di essere ascoltato. Tale esigenza abbiamo avuto modo di riscontrarla in modo trasversale per generazione, età, condizioni economiche, appartenenza e anche tra coloro che sono lontani dalla fede. Questa consapevolezza ci ha portato a dire che questa è una necessità non solo nostra ma evidentemente universale e profonda. L’isolamento tecnologico in effetti ci ha reso fragili e indigenti di ascolto.
Laici impegnati
Ci siamo accorti quanto sia necessario per noi laici sentirci ascoltati e accompagnati dai nostri sacerdoti. Ma ci siamo anche resi conto, come, sebbene la loro disponibilità, spesso, presi dai tanti impegni, tale ministero dell’ascolto scarseggi. Ad esempio nella nostra parrocchia c’è un sacerdote soltanto, che pur nella sua piena disponibilità, non riesce a stare dietro a tutto. Ci rendiamo conto che c’è bisogno di fare di più per le vocazioni, a partire dalla preghiera. Tutti vogliamo sacerdoti impegnati nelle nostre comunità, ma quanto preghiamo per le vocazioni? Allo stesso tempo ci rendiamo conto che sia necessario che i parroci vengano sollevati da quelle incombenze che spesso possono distoglierli dalla pastorale e per cui potrebbero essere pensati e preparati laici. La sfida che il mondo di oggi ci presenta soprattutto come laici impegnati è di una formazione e un continuo aggiornamento. Una formazione che ben fondata biblicamente e teologicamente spazi anche in discipline positive così da affrontare le nuove esigenze. Dai laici sono giunti racconti appassionati di una fede che può essere “contagiosa” nella genuinità di una testimonianza semplice, ma profonda. Essere discreti e gioiosi “compagni di viaggio” nella ricerca del senso della vita
I giovani
Nelle nuove generazioni frequentissimamente è presente la consapevolezza dell’esistenza di un’entità superiore che con difficoltà riconoscono realmente in Dio, ignorando l’azione rivelatrice di Gesù Cristo, che gli è stato spesso proposta per tradizione e che riconoscono dispensatore di buoni consigli e maestro di morale. Molti si vergognano di amare e di sentirsi amati: questa è la prima azione che sfida la Chiesa che deve tornare ad amare e far sentire amati tutti, così come sono. Forse una nuova stagione oratoriale con nuovi modi di azione in cui ci siano testimoni veraci della fede che si cala nella realtà della vita? Forse una nuova stagione di riflessione sulle sfide odierne? Forse una nuova stagione che prepari possibilità di lavoro investendo a livello diocesano in questo?
Inoltre sempre più affettivamente instabili, con genitori sempre più impegnati e preoccupati per il futuro, hanno necessità di confrontarsi e di parlare con qualcuno che sia strumento di parola e dell’azione di Dio. Ci riteniamo fortunati come comunità ad avere tanti giovani, ma la difficoltà dell’abbandono terminato il catechismo ferisce anche la nostra realtà segno che le famiglie faticano a vivere la scelta e il cammino di fede.
La famiglia
Abituata da una società che, anche nella realizzazione personale, si illude di fornire un prodotto già pronto, demanda la formazione spirituale e morale dei figli alle poche ore di catechismo e alla scuola, ma né l’una né l’altra può sostituirla in tale incarico naturale. Ma come le aiutiamo come Comunità? La crisi economica e il susseguirsi della pandemia, hanno trasformato le famiglie in arcipelaghi dove la sopravvivenza è spesso l’unico valore che conta e che si tramanda, i genitori non hanno più tempo per i figli o per la consorte, tantomeno per gli anziani. La fluidità del tempo e delle situazioni sovrasta come un’onda ogni identità, la famiglia ha bisogno di riscoprirsi in una Comunità, che attraverso una pastorale concreta e preparata, possa fornire le basi per una riscoperta della spiritualità familiare, tramite l’accoglienza e la condivisione di gioie e sacrifici, aiuto, supporto e fraternità. Momento privilegiato è il battesimo dei figli, ma quanto i più piccoli della comunità sono messi al centro e accolti dalla comunità? La sola attenzione genererebbe quella sensibilità dei genitori verso una chiesa presente e che rimane madre lungo gli anni e non dimentica i loro figli.
Gli anziani
La parabola della vita è l’espressione inversa del bisogno umano e l’anziano, spesso, sperimenta la solitudine in casa o negli ospizi, perché privato di ogni dignità dal bisogno di assistenza. Da loro si erge un grido di attenzione, che si deve esprimere in frequentazione, in assistenza indiretta, in vicinanza spirituale, piccole feste a loro dedicate nelle parrocchie o pellegrinaggi per loro o intergenerazionali, sono come balsamo sulle mani e i cuori stanchi dei nostri anziani, forse sarebbe indicato una pastorale per gli anziani presente ed attiva sul territorio.
Poveri e carcerati
Sono i figli ai margini della società, i primi sono ignorati e nascosti, i secondi anche disprezzati, ad entrambi la società moderna toglie la dignità di persona. Per loro è fondamentale una presenza costante che gli faccia sentire la preziosità della loro persona, e li stimoli a risorgere dalle ceneri di una vita come Cristo ci ha insegnato. La pandemia prima, la guerra poi, ha messo in crisi il nostro modo di vivere la carità. La collaborazione, il coinvolgimento, l’esperienza coi senzatetto di Termini ha messo in evidenza il rischio di diventare un’agenzia di servizi o sociale.
Le espressioni caritative non sono questo, ma un organismo pastorale al servizio della parrocchia, perché la carità, l’amore per il Signore e per il prossimo sia vissuto “contagiosamente” da tutti. Solo così i singoli e la comunità non delegherà più ma si sentirà coinvolta in prima persona. Se non si farà questo salto di qualità e non facciamo un’opera di promozione della carità sul serio, rischiamo di chiudere spazi e di fare supplenza.
I gruppi parrocchiali
L’individualismo e il presenzialismo sono i mali più rilevati, il servizio dei singoli o dei gruppi, è talora avvertito non come dono di sé ma come mezzo di autorealizzazione in cui il fare, in chiesa, schiaccia l’essere chiesa. Forse una costante catechesi per i gruppi impregnata sul servizio in utile calmerebbe le troppe aspettative personali? Sono emerse domande su talune “difficoltà” a partecipare e vivere appieno la liturgia e sul tema dell’ecologia integrale.
Movimenti
Il tema della testimonianza evangelica nella quotidianità è alla base della corresponsabilità dei laici nella Chiesa oggi. Alcuni dei temi emersi: la pressante sfida educativa; i nodi relativi a famiglia, lavoro, scuola, impegno sociale; altri interrogativi sono stati posti circa la fede nello “spazio pubblico”. La bellezza dell’esperienza che i movimenti possono offrire nella spiritualità della preghiera.
In conclusione, la chiesa che sogniamo è una chiesa dove tutti sono chiamati a partecipare alla sua vita e alla sua missione. Ci accorgiamo infatti che se manca la partecipazione di tutti non siamo chiesa della vicinanza. I pastori e gli animatori di comunità creino le condizioni per una vicinanza che diventa presenza, creando così legami di amicizia, ci si faccia carico delle fragilità e delle povertà presenti sul territorio. Una Chiesa che nella tenerezza vivi il suo essere madre.